diagnostica prenatale

PROBABILITA’ INDIVIDUALE DI ANOMALIA CROMOSOMICA                                                       In una coppia normale statisticamente il rischio  di avere un bimbo affetto da anomalia cromosomica (la più nota e più frequente di queste malattie è il mongolismo o sindrome di Down) aumenta con l’aumentare dell’età materna: minimo (0,2%) intorno ai 20 anni, medio (0,5%) a 37, massimo (superiore all’1,5%) dopo i 45 anni. Non si tratta mai di percentuali elevate ma è evidente che a 45 anni il rischio è 7 volte più elevato che a 20.

Per sapere con assoluta certezza se esiste una anomalia cromosomica bisogna esaminare direttamente i cromosomi del feto: si parla di "cariotipo". Ciò significa prelevare materiale fetale: o liquido amniotico (che contiene cellule del feto) mediante amniocentesi, o piccole parti della placenta (che è di origine fetale) mediante biopsia, o direttamente sangue fetale mediante puntura del cordone ombelicale. Tutti questi esami sono invasivi e comportano un rischio più o meno grande di causare una perdita della gravidanza. Inoltre sono molto costosi e il Sistema Sanitario Nazionale non è in grado di offrirli gratuitamente a tutta la popolazione ma solo alle gestanti con più di 35 anni, proprio perchè maggiormente a rischio. Questa politica sanitaria, inevitabile per problemi di costi, ha trascurato quindi la fascia di popolazione più giovane, a minor rischio ma enormemente più numerosa ed in tale fascia si è verificato il maggior numero di nascite di individui malati, anche in anni recenti.

Si è cercato quindi di ottenere degli esami seplici e non invasivi, in grado di riconoscere all’interno della popolazione più giovane e a  rischio minore quei casi con maggiori probabilità di avere un feto malato. Passando attraverso il dosaggio della sola alfa-fetoproteina successivamente integrata nel cosiddetto triplotest, si è giunti oggi al dosaggio nel sangue materno di due sostanze specifiche della gravidanza (la beta-gonadotropina libera ed una proteina siglata PAPP-A) i cui valori forniscono una buona indicazione della probabilità individuale di avere in grembo un feto affetto da alterazione dei cromosomi. Se poi il risultato di questo esame, detto bi-test, viene combinato con altri parametri materni e fetali, tra cui i rilievi ecografici precoci ed in particolare la translucenza nucale di cui abbiamo già parlato, si può arrivare all’individuazione corretta del 90% circa dei soggetti portatori di anomalia cromosomica.                                                                                                                        Più recentemente - ma oramai da qualche anno - si è riusciti a recuperare i frammenti di DNA del feto che riescono a superare la barriera placentare e passano nel sangue materno. Pur essendo quantità molto piccole le attuali metodiche sono in grado di recuperare questo DNA fetale presente nel sangue materno, analizzarlo ed ottenere informazioni sufficientemente sicure sia sull'assetto cromosomico che, in parte, su diverse malattie genetiche [i cromosomi sono strutture più grandi che contengono le catene degli acidi nucleici che nella loro caratteristica sequenza danno origine ai geni]. Una malattia genetica può presentare cromosomi "normali" ma nel cui interno una sequenza genica si è alterata causando una "espressione genica" patologica, cioè una malattia.                                                    Attenzione: tutti questi test NON INVASIVI non forniscono una diagnosi ma soltanto una probabilità percentuale: in caso di rischio elevato la diagnosi dovrà essere confermata con l’analisi diretta dei cromosomi fetali. Attenzione: questi test sono buoni ma non perfetti: il 10% dei casi patologici sfugge  alla diagnosi del bitest ed il 4,5% dei casi normali viene classificato patologico, costringendo ad ulteriori inutili accertamenti. Anche l'analisi del DNA fetale nel sangue materno, che attualmente preferiamo sia per la maggiore precisione sia per la possibilità di avere informazioni più estese, ha i suoi limiti: la sua precisione varia a seconda della difficoltà dei risultati ricercati: alcuni cromosomi sono più facili da analizzare e la certezza della loro normalità o meno può essere prossima al 100%, altri cromosomi sono tecnicamente più difficili e la correttezza della diagnosi può non superare il 90%.  

 AMNIOCENTESI E PRELIEVO DEI VILLI CORIALI                                                               Cellule di origine fetale, indispensabili per l’analisi dei cromosomi fetali , si ottengono abitualmente dal liquido amniotico (il liquido in cui il feto è immerso) o dalla placenta (villi coriali). In entrambe i casi per ottenere i materiali richiesti bisogna penetrare all’interno dell’utero.                                                                                                                        Sotto diretto controllo ecografico si individuano le pareti uterine, la placenta, il feto ed il liquido amniotico e con un ago estremamente sottile si penetra nella zona desiderata, passando attraverso l’addome materno: dalla placenta si otterrano piccolissimi frustoli di villi coriali (il tessuto che forma la placenta); il liquido amniotico viene aspirato in quantità variabile a seconda dell’epoca di gravidanza in cui si opera (da 14 a 20 cc).                              Il prelievo di villi coriali si effettua alla 9a-11a settimana di gestazione; comporta incidenti abortivi nel 2-4% dei casi; la risposta si ottiene in circa 10 giorni; sono descritti rari casi di risultati falsamente positivi.                                                                                        L’amniocentesi si effettua dopo la 13a settimana; comporta incidenti abortivi nello 0.5% dei casi; la risposta si ottiene in 15-21 giorni; nel 2% dei casi dal liquido non si ottiene la crescita di cellule fetali ed il prelievo deve essere ripetuto; si verificano errori nell’1.5 per mille dei casi.

Nel corso di una gravidanza fisiologica anche in coppie del tutto normali possono avvenire alterazioni del regolare sviluppo del feto che possono esitare in anomalie congenite. Questo evento si verifica purtroppo con una frequenza abbastanza elevata: in complesso le malattie congenite si osservano in quasi il 5% delle gravidanze ma fortunatamente la percentuale delle anomalie veramente gravi è inferiore al 2%.


Avendo affrontato una gravidanza la coppia deve avere presente queste possibilità e deve decidere se si sente in grado di accettare un’eventuale anomalia o se preferisce effettuare quelle indagini che possono evidenziare una eventuale anomalia nelle prime fasi della gravidanza onde poter attuare una scelta di mantenimento o di interruzione della gravidanza. Il verificarsi di un’anomalia congenita può comportare conseguenze variabili per il futuro del soggetto: a volte la sua vità potrà non esserne assolutamente influenzata ma altre volte la malattia potrebbe essere così grave da non consentire la vita dopo la nascita o da condizionare per sempre una esistenza alquanto difficile.

Si ricorda a questo proposito che la Legge Italiana permette l’interruzione di gravidanza in modo praticamente libero fino al termine della 12a settimana, in modo controllato e solo a fronte di importanti motivazioni dopo tale termine e solo fino alla 24a settimana.

 Un’anomalia congenita può manifestarsi con una vera e propria malformazione. Ciò tuttavia non avviene sempre: alcune malattie congenite, a volte anche molto gravi, possono non presentare alcuna malformazione. Ad esempio le distrofie muscolari, pur ereditarie e pur gravi, non presentano segni visibili. Ad esempio ancora il mongolismo o sindrome di Down solo in circa il 50% dei casi si accompagna a malformazioni facilmente riconoscibili.

Abbiamo quindi a che fare con una categoria di malattie molto diverse le une dalle altre e non abbiamo  a disposizione indagini in grado di riconoscerle tutte con certezza. 

Come si vede non abbiamo a disposizione molte risorse diagnostiche: sostanzialmente solo 3:

1. ecografia

2.  possibilità di valutare statisticamente con una certa accuratezza  la probabilità individuale di avere un figlio affetto da anomalia congenita, basandosi sulla storia familiare

3. analisi del cariotipo fetale (tradizionale o "molecolare", più approfondito) cioè visualizzazione dei cromosomi del feto su materiale ottenuto mediante amniocentesi  o prelievo di villi coriali

4. estrazione del DNA fetale circolante nel sangue materno e sua analisi per valutare il gariotipo o la eventuale presenza di alcune (attualmente fino a 200) malattie geniche

ATTENZIONE: alcuni di questi argomenti sono tecnicamente difficili da spiegare e da comprendere: se desiderate approfondirli chiedeteci un colloquio. 

ECOGRAFIA

Oggigiorno nessuno può più pensare di seguire una gravidanza senza effettuare controlli ecografici. L’esame è talmente richiesto che gli autori inglesi hanno coniato il termine “enjoiment ecography”: controllo ecografico per divertimento!

Ma a parte questo che possiamo considerare un utilizzo aberrante, in effetti i vantaggi di questo esame sono notevoli: 1. è innocuo e quindi ripetibile ogni volta che se ne presenti la necessità; 2. nella prima parte della gravidanza permette di controllare il normale avvio della stessa, di diagnosticare con anticipo aborti e gravidanze extrauterine, di datare con molta precisione la gestazione e la data reale del parto; 3. intorno alla 12a settimana consente di esaminare alcune particolari strutture del feto la cui anormalità costituisce un campanello di allarme che può innescare ulteriori accertamenti (ad esempio la cosiddetta “translucenza nucale”, edema nucale particolarmente evidente in molti casi di anomalia cromosomica, o l’alterazione dei rapporti di lunghezza tra i diversi segmenti degli arti); 4. serve da guida in caso di prelievo di villi coriali, di amniocentesi o di prelievo di sangue fetale; 5. tra la 18a e la 22a settimana permette un buon esame di molteplici strutture fetali (le Società Italiane di Ginecologia e Ostetricia [SIGO] e di Ecografia Ostetrico-Ginecologica [SIEOG] hanno da tempo stabilito precise regole in proposito, regole che devono essere seguite); 6. in qualsiasi momento permette una accurata valutazione dell’accrescimento fetale, dello stato di funzionamento della vascolarizzazione utero-feto-placentare (per mezzo della velocimetria color-doppler) e quindi dello stato di benessere generale del feto.

Questi elementi fortemente positivi hanno indotto a credere che l’ecografia sia in grado di vedere e prevedere tutto. Purtroppo come qualsiasi altro esame medico anche l’eco ha i suoi limiti: essa può sbagliare soprattutto la dove non riesce ad evidenziare anomalie specificamente ricercate e magari presenti: tutte le casistiche internazionali riportano una percentuale elevata di errore che, a secondo degli organi esaminati e della malformazioni attese, può variare dal 20 al 40%!

Attenzione quindi: un responso ecografico normale non è in grado di garantire la normalità del soggetto, anche quanto l’esame venga effettuato con tutti i criteri di precisione e di professionalità richiesti.

Commenti più recenti

25.07 | 12:37

Caro Giovanni, ho incontrato per caso questa tua pagina e non ho resistito ...